Associazione INSIEME Onlus-Associazione Insieme Onlus

Articoli/Risorse Utili

Cos’è l’'auto-mutuo-aiuto

Aiuto è un processo, un modo di trattare i problemi concreti che ciascuno si trova a fronteggiare nella propria vita: malattie, separazioni, lutti, disturbi alimentari, problemi affettivi… Parlare di questi problemi con altre persone che hanno attraversato tali esperienze può aiutare ad affrontare le difficoltà quotidiane ed imparare a riconoscerle per il futuro.

“un momento d’incontro tra persone – singole, in coppia o in famiglie – unite da uno stesso problema (dipendenza, stato di bisogno, difficoltà in generale) per rompere l’isolamento, per raccontarsi le proprie esperienze di vita (gioiose o dolorose), per scambiarsi informazioni e soluzioni, per condividere esperienze e conquiste con l’obiettivo di riscoprirsi non solo per sé, ma per l’intera comunità” (Stefano Bertoldi, educatore professionale, coordinatore dell’associazione A.M.A. di Trento).

Il mutuo aiuto comincia naturalmente, con l’auto aiuto, con la persona che riconosce l’esistenza di un problema e si attiva in cerca di sostegno. E’ la condivisione dell’esperienza il concetto fondamentale che contraddistingue il mutuo aiuto dalle altre forme d’aiuto. Accade solo quando chi aiuta e chi viene aiutato condividono assieme la storia di un medesimo problema. E’ possibile che chi aiuta all’interno del gruppo sia una persona che è riuscita a far fronte ad un problema con successo e che per questo abbia acquisito competenze basate sull’esperienza concreta piuttosto che sulla formazione specialistica.

L’esperienza di condivisione giova sia alla persona che viene aiutata sia a chi aiuta. Ci si può rendere conto che la sofferenza non deve necessariamente essere permanente, ma può essere superata.

Coloro i quali sono stati efficacemente aiutati potranno diventare helper (chi aiuta) essi stessi. Nello stesso tempo, chi aiuta, condividendo la sua competenza, potrà a sua volta vedere i suoi stessi problemi in una prospettiva più ampia, acquisendo un rinnovato senso di adeguatezza ed efficacia.

Dall’auto mutuo aiuto le persone ricavano: informazioni su come far fronte ai loro problemi, aiuto materiale se necessario, la sensazione che qualcuno si prenda cura di loro.

L’auto mutuo aiuto punta alla valorizzazione della persona come soggetto responsabile che partecipa attivamente alla vita della comunità; ognuno credendo nelle proprie capacità, e superando le resistenze al cambiamento, può far fronte alle difficoltà.

AUTO-MUTUO-AIUTO


Disturbo da attacco di panico
 
Secondo il D.S.M. IV una persona su venticinque, in relazione al sesso di appartenenza e all’età, soffre del disturbo di attacco di panico.

Questo disturbo compare soprattutto durante l’adolescenza o la prima età adulta ma anche in qualunque momento della vita.

Il primo attacco solitamente insorge dopo uno stress, un evento traumatico, in modo del tutto spontaneo e spesso mentre ci si trova in luoghi affollati oppure di notte causando un risveglio improvviso e molto agitato.

L’attacco di panico, di solito, dura al massimo mezz’ora e in questo periodo la persona prova un’improvvisa e intensa apprensione associata alla paura di perdere il controllo di se stessa o di morire.

Per diagnosticare un attacco di panico è necessario che la persona avverta almeno quattro dei seguenti sintomi:

-        palpitazioni;
-        vertigini o giramenti di testa;
-        respiro affannoso;
-        sensazione di soffocamento;
-        sudorazione;
-        senso di dolore al torace;
-        formicolii alle mani;
-        sensazione di svenimento;tremori;
-        nausea;
-        vista annebbiata;
-        vampate di caldo o sensazione di freddo;
-        debolezza alle gambe;
-        bocca secca;
-        tensione muscolare;
-        impressione di non riuscire a parlare o a pensare;
-        impressione che le cose intorno non siano reali;
-        paura di perdere il controllo.

Quasi sempre la forte intensità di alcuni di questi sintomi porta la persona che li prova a ritenere di avere un grave problema organico tanto  da rivolgersi spesso al Pronto Soccorso.

La persona colpita teme ovviamente che possa accadere di nuovo innescando così un circolo vizioso che può trasformare il singolo attacco di panico in un vero e proprio disturbo.

In sostanza, dopo il primo attacco di panico, la persona ha la sensazione che la vita non sarà più come prima e vive in un continuo stato di ansia per il timore che il fatto possa ripetersi.

La persona perciò mette in atto tutte le precauzioni per prevenire l’attacco (evitamenti, comportamenti proiettivi, …) e in questo caso si parla di Disturbo di Panico senza agarofobia.

Sentirsi in trappola, senza via di fuga, in uno stato di allerta estremo come nell’imminenza di una catastrofe: questo è lo schema degli attacchi di panico.

Non si conoscono con certezza le cause del loro insorgere, però possono incidere su di essi i seguenti fattori:

-        genetica;
-        stress;
-        alcune modifiche nel funzionamento di determinate parti del cervello.

Gli attacchi di panico possono portare complicanze notevoli nel normale svolgimento della vita quotidiana.

Si possono, infatti, sviluppare fobie specifiche come:

-    paura di guidare;
-    paura di uscire di casa;
-    tendenza a evitare situazioni sociali;
-    problemi al lavoro o a scuola;
-    abuso di sostanze stupefacenti o di alcool;
-    depressione.

Il trattamento per gli attacchi di panico ha come obiettivo l’eliminazione di tutti i sintomi legati agli episodi per riprendere la gestione normale delle attività quotidiane.

L’'uso di farmaci e la psicoterapia possono essere entrambi efficaci nel trattamento per gli attacchi di panico.

Un altro strumento per combattere gli attacchi di panico è rappresentato anche dai gruppi di aiuto-mutuo-aiuto (AMA).

Sono gruppi formati da persone che, avendo in comune lo stesso problema, sperimentano con gli altri momenti di solidarietà, di condivisione.

Questi gruppi sono gestiti da un “facilitatore” che, agevolando i rapporti fra i componenti, aiuta il gruppo a raggiungere con efficacia i propri obiettivi.

E’ opportuno che la figura del “facilitatore” sia supervisionata da uno psicoterapeuta che ha il compito di riuscire a cogliere i contenuti emotivi che non vengono comunicati espressamente nella discussione e di comunicarli in termini comprensibili ed espliciti al facilitatore.

L’obiettivo principale del gruppo è quello di permettere ai membri di acquisire una consapevolezza maggiore di sé e dell’altro per tendere al benessere e alla risoluzione dei propri problemi.

In America sono una realtà ormai diffusa e praticata ma anche in Italia sono sempre più richiesti come risposta a forme di disagio e malessere non raggiungibili con altre forme più tradizionali di cura.

Lo scopo essenziale del gruppo di aiuto-mutuo-aiuto è dare l’opportunità di condividere le esperienze e di aiutarsi a mostrare l’uno all’altro come affrontare i problemi comuni.

Ciascuno riceve aiuto e contemporaneamente dà aiuto perché lo sforzo individuale teso alla risoluzione dei propri problemi diventa sforzo per risolvere un problema comune.

Alla base di questa esperienza gruppale esistono delle regole stabilite all’inizio degli incontri:

-      numero dei partecipanti;
-      incontri settimanali, giorni e orari;
-      gruppo aperto;
-      gruppo chiuso;
-      riservatezza, ciò che si dice nel gruppo deve rimanere al suo interno;
-      responsabilità personale: ogni persona è protagonista del proprio star bene.

I gruppi offrono ai membri la possibilità di sentirsi inseriti in una sorta di piccolo sistema sociale in cui smettono di essere portatori di un disagio e diventano membri di una rete quasi familiare.

I gruppi, pur costituendo un’opportunità di supporto, non possono essere considerati sostitutivi di un’adeguata terapia individuale o di gruppo nella quale lo psicoterapeuta non si limita al ruolo di “Supervisione” ma assume un ruolo terapeutico diretto.   

Dott. Lorenzo Flori


Fobia Specifica 

Il DSM-IV TR definisce la fobia specifica come la "paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri", in cui "l'individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante". "L'esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca l'ansia, che può assumere le caratteristiche di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione."

Quindi, una persona con la Fobia Specifica di volare in aereo può avere un Attacco di Panico se deve affrontare un volo.

Il Disturbo da Attacchi di Panico si caratterizza per Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti, almeno uno dei quali è stato seguito da un mese o più dei seguenti sintomi:

a. preoccupazione persistente di avere altri attacchi

b. preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze

c. significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

Come asserisce il DSM, gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, tra i quali la Fobia Specifica, per cui non compaiono esclusivamente in seguito all'esposizione a una specifica situazione fobica (es.: volo aereo o prospettiva di questo).

Lo psicoterapeuta può fornire una disponibilità telefonica sia per aiutare il paziente a prevenire e gestire gli Attacchi di Panico, sia per aiutarlo ad affrontare le situazioni temute, invitandolo a pensare e riflettere con lui circa i propri pensieri irrazionali.

Dott. Alberto Vignali 




Dal sito : 
Terzocentro di psicoterapia cognitiva, Roma





Che cos’è il disturbo di panico

Il disturbo di panico è un disturbo d’ansia, caratterizzato da frequenti ed inaspettati attacchi di panico.
L’ansia e la paura sono emozioni normali, che provano tutti. Hanno la funzione di segnalare situazioni pericolose o spiacevoli, mediante le modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entra in circolo nel sangue. Entro certi livelli, dunque, l’ansia e la paura sono necessarie a ciascuno di noi in quanto ci consentono di affrontare le situazioni temute ricorrendo alle risorse mentali e fisiche più adeguate (es. se attraversiamo la strada e una macchina suona il clacson per avvertirci che potrebbe investirci, possiamo spaventarci e, in preda alla paura, metterci in salvo).

Si ha un attacco di panico quando l’ansia o la paura provate sono così intense da produrre alcuni dei seguenti sintomi mentali e fisici:

palpitazioni o tachicardia;
sensazione di asfissia o di soffocamento;
dolore o fastidio al petto (es. senso di oppressione toracica);
sensazioni di sbandamento o di svenimento (es. debolezza alle gambe,    vertigini, visione annebbiata);
disturbi addominali o nausea;
sensazioni di torpore o di formicolio;
brividi di freddo o vampate di calore;
tremori o scosse;
bocca secca o nodo alla gola;
sudorazione accentuata;
sensazione di irrealtà (derealizzazione) o sensazione di essere staccati  da se stessi (depersonalizzazione);
confusione mentale;

paura di perdere il controllo o di impazzire;

paura di morire.

L’attacco di panico, dunque, è la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si consuma in circa dieci minuti.
Nel corso della vita, in periodi di stress emotivo, può accadere di avere qualche sporadico attacco di panico, ma ciò non significa che si soffre di disturbo di panico.
Il soggetto affetto da disturbo di panico, infatti, ha attacchi di panico inaspettati e ripetuti. Inoltre, nel periodo di tempo successivo ad essi (almeno un mese), si preoccupa sia dell’eventuale ripresentarsi di questi, che delle loro implicazioni (es. gravi malattie come cardiopatia ed epilessia, totale perdita di controllo della propria vita, totale perdita di controllo della propria mente o pazzia).
Il disturbo di panico è una patologia piuttosto diffusa, ingravescente e fortemente invalidante. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne soffre tra l’1,5% e il 3,5% della popolazione mondiale, soprattutto donne.
Solitamente il decorso del disturbo è cronico, ma mentre alcune persone ne soffrono in modo continuativo, altre presentano intervalli di anni senza attacchi di panico. 

Come si manifesta il disturbo di panico

Si ha un attacco di panico quando una persona è molto spaventata da situazioni (es. stare in un autobus a porte chiuse) o da stimoli interni (es. l’accelerazione del battito cardiaco) innocui che percepisce come minacciosi. In quei momenti il soggetto di solito non riesce bene a capire che cosa gli stia accadendo; nel tentativo di darsi una spiegazione può

 iniziare a pensare che la causa sia dentro di sé e ad avere pensieri del tipo: “Sto per svenire!”, “Sto per avere un infarto!”, “Perderò il controllo di me!”, “Impazzirò!”, “Oddio, sto per morire!”. Queste interpretazioni ovviamente spaventano ancora di più la persona: chi non si impaurirebbe all’idea di avere un infarto? Nell’arco di pochi minuti, l’ansia raggiunge il picco più alto di intensità e inizia gradualmente a decrescere, fino a quando il soggetto sperimenta uno stato di sfinimento fisico e mentale.


Le sensazioni provate durante il primo attacco di panico sono così spiacevoli da indurre nel soggetto il timore di riprovarle, per cui si sviluppa una “paura della paura” (ansia anticipatoria). La persona può cercare, quindi, di mettere in atto dei comportamenti volti a prevenire il verificarsi di altri attacchi di panico: tenderà ad evitare le situazioni che teme possano provocarli (comportamenti di evitamento) o le affronterà soltanto dopo aver preso delle precauzioni (comportamenti protettivi).

Tra i comportamenti di evitamento più diffusi si riscontrano:

non utilizzare automobile, autobus, metropolitana, treno o aereo;
non frequentare luoghi chiusi (es. cinema);
non allontanarsi da zone considerate sicure (es. casa);
non compiere sforzi fisici.
I comportamenti protettivi più diffusi risultano essere:
portare con sé farmaci per l’ansia;
muoversi solo in zone in cui sono presenti strutture mediche;
allontanarsi da casa solo se accompagnati da persone di fiducia;
tenere sempre sotto controllo le uscite di sicurezza.

Non tutti i soggetti, tuttavia, sviluppano dei comportamenti di evitamento. Il disturbo di panico, infatti, può essere con o senza agorafobia (dal greco agorà, che significa “piazza del mercato”, e fobia, che significa “paura”), che è l’ansia che si prova quando, in determinati luoghi o situazioni (es. spazi aperti, spazi chiusi, luoghi affollati, mezzi di trasporto), si ritiene difficile o imbarazzante allontanarsi o ricevere aiuto in caso di attacco di panico. 

Come sapere se si soffre di disturbo di panico


Come accennato, avere qualche sporadico attacco di panico nel corso della vita non significa soffrire di disturbo di panico.
Gli attacchi di panico, infatti, sono presenti in una varietà di disturbi. Ciò che li rende caratteristici del disturbo di panico è la loro manifestazione, che il più delle volte non è associata a stimoli o situazioni specifiche, ossia è inaspettata, “a ciel sereno”.
Gli attacchi di panico che si sperimentano solo venendo a contatto con oggetti o situazioni specifiche, invece, sono manifestazioni di altri disturbi d’ansia, in particolare della fobia sociale, della fobia specifica e del disturbo post-traumatico da stress.

Nella fobia sociale, gli attacchi di panico sono provocati da situazioni sociali, nelle quali il soggetto teme di essere umiliato o di sentirsi imbarazzato.
Gli attacchi di panico che si manifestano, invece, quando si viene a contatto con oggetti o situazioni specifiche temute (es. toccare animali, prendere l’ascensore, attraversare ponti, vedere il sangue) sono manifestazioni della fobia specifica.
Nel disturbo post-traumatico da stress, infine, il panico può essere indotto da stimoli che riportano alla memoria l’evento traumatico all’'origine del disturbo stesso.

Gli attacchi di panico possono anche essere una conseguenza fisiologica di determinate condizioni mediche (es. ipertiroidismo, disfunzioni vestibolari, disturbi convulsivi e condizioni cardiache) o dell’uso di sostanze stupefacenti (es. caffeina, cannabis, cocaina).

Cause del disturbo di panico

L’età in cui tale disturbo si manifesta per la prima volta varia notevolmente da soggetto a soggetto, ma tipicamente si colloca tra la tarda adolescenza e i 35 anni.
In base agli studi empirici finora realizzati, i fattori di rischio per l’insorgenza del disturbo di panico risultano essere:

situazioni stressanti fisiche (es. malattie, mancanza di sonno, iperlavoro, uso di sostanze stupefacenti) e psicologiche (es. stress lavorativo, problemi finanziari, cambi di ruolo, conflitti interpersonali, malattie di familiari, lutti);
iperventilazione, che consiste in una respirazione più rapida e profonda rispetto al fabbisogno d’ossigeno dell’organismo in un determinato momento;
predisposizione genetica e familiarità, per cui i consanguinei di primo grado si trasmetterebbero la tendenza a rispondere con l’ansia a determinati stimoli;
caratteristiche di personalità, consistenti essenzialmente in una sensibilità agli stimoli ansiogeni, che si manifesta in particolare con lo stile di pensiero catastrofico.

Conseguenze del disturbo di panico

Il disturbo di panico può essere particolarmente invalidante in quanto ha ripercussioni sulla vita lavorativa (es. rinuncia ad un lavoro per le difficoltà di spostamento),familiare (es. tensioni interpersonali causate dalle frequenti richieste di essere accompagnati) e sociale (es. riduzione delle relazioni a causa della difficoltà a frequentare luoghi pubblici) della persona che ne soffre.

La riduzione dell’'autonomia, conseguente all’'attuazione dei comportamenti protettivi e di evitamento, danneggia, a breve termine, la qualità della vita di chi ha il disturbo e dei suoi congiunti, e, a lungo termine, il senso di efficacia personale e la stima di sé.
Il decremento dell’efficacia personale e dell’autostima, inoltre, a lungo andare possono produrre una depressione secondaria.
Altra frequente conseguenza del disturbo di panico è l’abuso di sostanze stupefacenti (in particolare l’alcool), a cui la persona può ricorrere come tentativo disperato di gestire il disturbo stesso o la depressione che ad esso può seguire.

Differenti tipi di trattamento

I trattamenti per la cura del disturbo di panico riconosciuti come più efficaci sono la farmacoterapia e la psicoterapia. 
La terapia farmacologica è a base di benzodiazepine ed antidepressivi di nuova generazione.Talvolta questo trattamento risulta risolutivo, ma frequentemente, all'’interruzione della farmacoterapia, la sintomatologia si ripresenta. I farmaci, infatti, in tempi relativamente brevi riducono l’intensità dei sintomi che caratterizzano il disturbo, ma sembra lascino inalterate le sue cause. Curare il disturbo di panico coi soli farmaci potrebbe essere come curare un forte mal di schiena facendo uso esclusivo di antidolorifici: è probabile che, dopo qualche tempo, il dolore si ripresenti, se non si agisce anche su ciò che lo ha provocato.

D’altra parte i farmaci, abbassando i livelli di sofferenza soggettiva e d’ansia di chi ha un disturbo di panico, creano le condizioni favorevoli per un intervento psicoterapeutico efficace.
Per tali motivi spesso si consiglia al paziente di seguire sia un trattamento farmacologico, che uno psicoterapeutico.
Come attestato da diversi studi empirici, attualmente la psicot
erapia più efficace per il disturbo di panico è quella cognitivo-comportamentale, applicata individualmente o in gruppo.




Il Neurologo. Lo Psichiatra. Lo Psicologo. Lo Psicoterapeuta. Questi sconosciuti…

Conoscere i professionisti per scegliere con consapevolezza il percorso più adatto a sé.


Il neurologo è un medico specializzato nelle patologie del sistema nervoso (centrale, periferico somatico e periferico autonomo).
Il neurologo cura -quindi- patologie neurologiche organiche (malattie neurologiche, malattie vascolari, malattie infettive e infiammatorie, malattie neoplastiche, malattie degenerative, sottocorticali e traumatiche) attraverso l’utilizzo di interventi chirurgici e farmaci.
In sintesi. Chi è? 1- Un medico. 2- Cosa cura? Patologie organiche. 3- Come? Attraverso l’utilizzo di farmaci.

Lo psichiatra è un laureato in medicina che ha intrapreso successivamente la specializzazione in psichiatria.
Egli si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali dal punto di vista teorico e pratico. 
La psichiatria è una pratica medica focalizzata strettamente sull'uso del metodo scientifico-sperimentale come mezzo di indagine conoscitivo, sull'uso prevalente dei farmaci come mezzo curativo e con l'utilizzo accessorio di metodologie altrimenti tipiche della psicologia (colloquio, test etc.).
In sintesi. 1- Chi è? Un medico. 2- Cosa cura? Disturbi mentali. 3- Come? Principalmente attraverso l’utilizzo di farmaci.

Lo psicologo ha conseguito una laurea quinquennale in psicologia e l'Esame di Stato, che consente l'iscrizione all'Ordine degli Psicologi, che abilita alla professione.
Lo Psicologo è formato e preparato per il primo ascolto, valutazione, diagnosi, orientamento e supporto, riguardo a tutti i disagi e disturbi psicologici, ed è la principale figura di riferimento per tutti coloro che vedono compromessa la propria salute psicologica.
Lo psicologo non prescrive farmaci. I farmaci sono "esclusiva" competenza del medico, quindi un laureato in medicina.
In sintesi. 1-Chi è? Uno psicologo. 2-Cosa cura? Disagi emotivi. 3-Come? Attraverso colloqui di supporto.

Lo psicoterapeuta è un laureato in psicologia o in medicina, che ha conseguito una specializzazione post-universitaria in Psicoterapia.
La psicoterapia è una branca specialistica della psicologia che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità.
Lo psicoterapeuta con laurea in psicologia non prescrive farmaci. I farmaci sono "esclusiva" competenza del medico, quindi un laureato in medicina.
In sintesi. 1-Chi è? Uno psicologo o un medico. 2-Cosa cura? Disturbi psicopatologici. 3-Come? Principalmente attraverso la relazione terapeutica.

In sintesi.
a) Psicologo/Psicoterapeuta e Psichiatra
La differenza sostanziale tra Psicologo/Psicoterapeuta e Psichiatra risiede nel modo di vedere la persona e nell’approccio utilizzato; mentre i primi due guardano la persona nel suo insieme, evitando di concentrarsi solo sul disturbo, lo Psichiatra utilizza un metodo che può essere definito di diagnosi/cura. In sostanza egli focalizza la sua attenzione sul problema cercando di risolvere solo quello, esattamente come fa il Medico. Egli cura i disturbi psichici e le malattie mentali attraverso l’utilizzo dei metodi propri della Psichiatria, che comprendono l’utilizzo di farmaci.
c) Farmaci
Lo psichiatra, è un laureato in medicina con specializzazione in psichiatria e per questo motivo, tratta i disturbi psichici e le malattie mentali attraverso l'utilizzo di farmaci.
Lo psicologo-psicoterapeuta NON può prescrivere farmaci in quanto non abilitato dalla sua formazione professionale. Per questo motivo, spesso psichiatri, psicologi e psicoterapeuti collaborano per fornire supporto ad una stessa persona.

(Dott.ssa Cristiana Aprile-Dott.ssa Elena Mattiello)


L'Agorafobia. Paura della libertà e di sé stessi.

Quando si parla di agorafobia, spesso la si definisce frett
olosamente come la paura degli spazi aperti. L‘agorafobia è la paura, anzi la fobia, morbosa di trovarsi in posti o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi. Secondo Cesare Musatti, padre della psicoanalisi italiana, “l’agorafobia non è la paura degli spazi aperti. E’ la paura della libertà, paura di se medesimi”. 
Non si tratta dunque solo della paura degli spazi aperti quali piazze, strade larghe e simili, ma più in generale la paura dei posti e delle situazioni nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di improvviso svilupparsi di uno o più sintomi che potrebbero essere inabilitanti od estremamente imbarazzanti, e più in generale va vista nell’ambito di un quadro di un disagio che chi ne è colpito avverte verso sé stesso, tipico dell’ansia.
Ci può essere agorafobia anche viaggiando in treno, andando a fare la spesa al supermercato, mentre si è sul posto di lavoro. L'agorafobia si caratterizza, dunque, per la presenza di svariate fobie relative alla vita quotidiana fuori casa, come ad esempio la guida in autostrada, i viaggi in aereo, i luoghi elevati o affollati, gli ascensori, il fare la fila. La casa è spesso vissuta come l'unico luogo protetto e sicuro. 
La gravità della malattia può essere tale da portare ad una vera e propria inabilità, con l’individuo che rimane intrappolato in casa, ed una pervasività tale delle fobie nella sua vita da comprometterne la sociale e di relazione. 
L'agorafobia, dunque, si può manifestare con il desiderio fortissimo e spesso irresistibile di scappare immediatamente a casa. Ma non sempre: anche dalla propria casa a volte ci si deve allontanare perché non si sopporta di rimanere da soli e si ha bisogno di stare ininterrottamente in presen
za e come sotto la sorveglianza di altre persone. 
Come risultato di questa paura il soggetto è portato o a ridurre gli spostamenti, o ad aver bisogno di un compagno quando si trova fuori casa, oppure a sopportare situazioni agorafobiche, nonostante l'intensa ansia. Le comuni situazioni agorafobiche includono il trovarsi fuori casa da soli, l'essere in una folla, lo stare in coda, l'essere su un ponte, il viaggiare in autobus, treno od automobile. 
Di solito la persona ha paura di avere un attacco paucisintomatico, ossia, di sviluppare un unico o un piccolo numero di sintomi, come iniziare ad avere vertigini o a cadere, depersonalizzazione o derealizzazione, incontinenza urinaria o intestinale, vomito, o avere un malessere cardiaco. In qualche caso, questi sintomi si sono manifestati in passato e la persona può essere preoccupata dal timore del loro ritorno. In altri casi, la persona non ha mai fatto esperienza del sintomo (o sintomi), ma comunque teme che il sintomo "possa" presentarsi, e inabilitarlo o essere estremamente imbarazzante. In un piccolo numero di casi la persona ha paura di sentirsi in qualche modo incapace, ma non riesce a specificare di quali s
intomi ha paura. 
 La fobia, al contrario della ‘paura’, è del tutto immotivata. La paura dipende da un oggetto esterno, ben identificabile e circoscrivibile, la fobia ha invece origine interna e ispiegabile. Le fobie sono molto diffuse, tanto che si può prevedere che non meno del 15% della popolazione vada incontro ad una forma conclamata di questa malattia una o più volte nell'arco della vita. C’è da dire, inoltre, che in molti casi il mancato ricorso alle strutture assistenziali renderà impossibile la formulazione della diagnosi e quindi i casi non potranno entrare a far parte delle relative statistiche. 
La claustrofobia, al contrario, è la paura del chiuso, mentre l'ereutofobia è il timore di arrossire, la rupofobia è il timore dello sporco, e la fobobia è la paura della paura, che, nel quadro di clinico di chi è colpito da attacchi di panico porta all’evitamento sistematico di luoghi e situazioni in cui si pensa e si teme di essere di nuovo colpiti proprio da un attacco di panico. Anche l’agorafobia può rientrare in un quadro clinico legato agli attacchi di panico, manifestandosi come la paura di allontanarsi da luoghi ritenuti sicuri e la paura di esporsi a luoghi sentiti come a rischio di un nuovo attacco. 
L'agorafobia, in sostanza, rientra in un disturbo più complesso e plurisintomatico che ha a che fare con l'ansia. L'ansia è interna e priva di contenuto. È quindi molto più difficile riconoscerla, spiegarla, controllarla. La manifestazione più acuta e sconvolgente dell'ansia è proprio l'attacco di panico che si presenta in maniera improvvisa, apparentemente immotivata e che consiste in un insieme di sintomi, psichici ma anche fisici, che danno alla persona che ne è colpita la netta e spaventosa sensazione di stare per morire. 
Si calcola che il 15-20% della popolazione adulta soffra di disturbo d’ansia generalizzata, il 5-7% di attacchi di panico e il 3-7% di fobie. Purtroppo per risolvere i problemi che, come l’agorafobia, sono legati all’ansia o a quello che psicologi e psichiatri, definiscono “disturbo d’ansia generalizzata
con attacchi di panico o fobie”, non basta, come molti erroneamente pensano la “buona volontà” di uscirne. Occorre anzi un aiuto che consenta di intraprendere un percorso che, partendo dalla consapevolezza del problema, e passando per contributi terapeutici sia farmacologici che di sostegno psicologico portino alla progressiva liberazione dalla paura.
(http://italiasalute.leonardo.it/news.asp?ID=6220)

D.A.P.: Per i familiari


La prima cosa che ci viene da suggerire ai familiari dei "dappisti" è quello di non diventare per forza "medico", ma di non lasciarsi intrappolare dalle crisi della persona cara. Semmai, l'obbligo" per chi ha un parente colpito da questa patologia, di INFORMARSI. Di sapere quali sono le manifestazioni della malattia e come curarla. E' necessario avere nei confronti della persona cara, un atteggiamento di sostegno "non colpevolizzante". La sicurezza di comportarsi bene, arriva solo dalla conoscenza. Dal sapere che è importante chiedere subito aiuto a uno specialista e che non è giusto "accontentarsi" di vivere evitando. Dal viaggio in treno alla festa con gli amici. La solitudine, a parenti e pazienti, porta solo cattivi consigli. Quindi, va stipulata una sorta di "alleanza" tra il medico e il familiare di chi soffre di attacchi di panico. Questa permetterà di fronteggiare le situazioni di emergenza ma anche di capire quando va meglio e di intuire i segni del progresso verso la guarigione. verso la consapevolezza, da parte del malato, di essere dominatore e non dominato dall'attacco. Importante, dunque, è sapere cosa fare, ma altrettanto importante, sapere cosa non fare.

 

Cosa fare

 

L'obbiettivo che si deve raggiungere, con il consiglio dello psichiatra, è quello di armonizzare gli "interventi" per riuscire a tranquillizzare il malato e ridurre al minimo la tecnica dell'evitamento. Ridurre, in casa, il contrasto con il malato può essere un modo per permettergli di vivere meglio stimoli e ansie. sarebbe un grave errore colpevolizzare la persona quando ci si rende conto che la sua malattia non ha fatto passi avanti, che i "blocchi" persistono o , addirittura, aumentano. E' bene aspettare che sia il malato a chiedere aiuto, piuttosto che farsi avanti con eccessive premure. Soffocarlo con altrettanti evitamenti potrebbe, in molti casi, peggiorare la situazione. Piuttosto è importante riuscire a convincere il malato a rivolgersi a uno specialista. Inutile vagabondare da un medico all'altro, dal cardiologo piuttosto che dall'esperto di polmoni. Bisognerà ovviamente, riuscire a sfatare tutti i pregiudizi che aleggiano attorno alla figura dello psichiatra. Non è il "medico dei pazzi" e i parenti devono saperlo bene. Devono essere anche in grado di farlo capire al malato. Potrebbe non essere una cattiva idea citare i nomi dei personaggi famosi che hanno dichiarato pubblicamente di aver cambiato vita, una volta che lo psichiatra ha indicato la terapia giusta. Comprensione e disponibilità all'ascolto sono doti fondamentali per chi vuole convincere o stare accanto di chi soffre di attacchi di panico. Riconoscere i piccoli miglioramenti del malato è fondamentale. Il condividere la gioia, può trasformarsi in un forte bastone su cui appoggiarsi. E' un pò come dire :" Tranquillo, ti siamo vicini, ti accettiamo, ti capiamo e con te aspettiamo che tutto passi".

Infine il parente deve accettare l'idea che al miglioramento corrisponderà un naturale "distacco" e maggiore autonomia della persona ex-dappista!!

 

Cosa non fare


Evitare critiche e apprezzamenti sul comportamento di chi soffre di attacchi di panico. Meglio dare piccoli suggerimenti piuttosto che scatenare scontri violenti. Il malato è già particolarmente sensibile alle sue critiche, a quelle degli "estranei", per essere in grado di recepire altri suggerimenti "dal tono imperioso". Mai gonfiare il problema, mai farlo più grande di quello che è contrastando con la volontà di trovare soluzioni più lontane possibili dall'evitamento. Importante è riuscire a dividere l'istintiva avversione verso i timori e le "pigrizie" del malato e l'affetto che si prova verso la persona.Controllare che la persona segua la terapia e vigilare sugli eventuali effetti collaterali. Non decidere  mai che il medico va interpellato solo nelle urgenze;piuttosto tra i familiari, lo specialista e il terapista si deve creare un'alleanza mirata al buon esito della terapia. Ovviamente è vietata qualsiasi presa in giro degli atteggiamenti del malato e non dire mai che non si crede a ciò che dice. Lo "strozzamento alla gola" è avvertito davvero!!!! Anche il batticuore, le sudate fredde, le gambe tremolanti, la sensazione di svenimento. E' bene ricordarlo sempre, anche quando si vorrebbe partire e quell'amico, quel figlio o quella compagna non riesce a venire con voi.

 

 

I si e i no

 

I si

1) Convincere il malato ad andare dallo specialista, lo psichiatra, e ad accettare sia i farmaci che la psicoterapia.

2) far capire che il disturbo da attacchi di panico è una malattia. Come tale può guarire, se curata.

3) Stare vicino al malato, accettare senza condividere paure e timori.

4) Credere ai sintomi che il malato accusa.

5) Aiutare i malato a rinforzare la stima nei propri confronti senza mai spingerlo in situazioni che potrebbero spaventarlo.

6) Ripetere di avere pazienza, che la cura può avere dei tempi lunghi prima di fare effetto.

7) Imparare a riconoscere i piccoli miglioramenti e condividerle con la persona cara.

 

 

I no

1) Mai dire al paziente: <<Dai sforzati>>_; << E' tutta colpa tua>>: <<Sei solo un pigro>>.

2) Mai prenderlo in giro se non riesce a intraprendere un viaggio, a prendere l'aereo o a entrare in un grande magazzino.

3) Non assecondare il malato quando vorrebbe smettere la cura o psicoterapia.

4) Non mettere fretta nè far mai capire che i timori potrebbero seriamente compromettere la vita futura.

5) Non farsi prendere dalle sue stesse paure.

6) Non evitare di controllare se il malato segue la terapia.

7) Non esagerare con le critiche: l'avversione è verso la malattia e non verso la persona cara.


http://digilander.libero.it/psychoplanet/dap/familiari.htm



I bambini e gli Attacchi di Panico

Il problema riguarda una fascia sempre più ampia di persone e non risparmia i più piccoli. Per loro, però, la crisi è spesso connessa all’angoscia di una separazione dai genitori.

Gli attacchi di panico colpiscono una sempre più ampia fascia di popolazione (dal 2 al 4% circa) e riguardano in modo particolare gli adolescenti e le donne. Si manifesta con caratteristici “segnali” fisici come sudorazione, tachicardia, senso di soffocamento, formicolii e rappresenta una reazione d’allarme, che segue alla percezione “errata” di un fantomatico rischio imminente. In altre parole, il panico è innescato da una sensazione di essere in pericolo, da una paura invasiva generalizzata, di cui non si capisce né l’origine, né tantomeno il motivo. Di solito ha inizio con la sensazione di “sentirsi strani” cui segue la reazione fisica di allarme con malessere, aumento del ritmo cardiaco e così via. Il disagio fisico che si prova convincono la persona di stare realmente male, di correre sul serio un pericolo e in questo modo si crea un circolo vizioso in cui il sintomo peggiora con l’aumentare della presa di coscienza del sintomo stesso. Nell’attacco di panico sono costanti la paura di morire ed una sensazione di catastrofe imminente, a cui non si riesce a far fronte se non mettendo in atto appunto questa reazione di allerta.

A rischio un bimbo su dieci
Sembra che nemmeno i più piccoli siano immuni da questo problema. I dati provenienti dalla clinica relativa alla fascia d’età infantile mettono infatti in evidenza che disturbi di natura ansiosa – che includono gli attacchi di panico – colpirebbero una percentuale del 10% di bambini. È bene tuttavia precisare che molti dei sintomi con cui queste forme ansiose si manifestano, per esempio difficoltà di addormentamento, comportamenti oppositivi o di rifiuto, preoccupazioni e paure eccessive, sono state considerate più come problemi comportamentali dei bambini che come veri e propri sintomi ansiosi. È quindi importante non lasciarsi prendere dall’ansia e dalla convinzione che il proprio bimbo abbia un problema se è soggetto alla normali difficoltà della vita di tutti i giorni, dai litigi con i compagni alla stanchezza dovuta agli impegni scolastici e sportivi.

L’angoscia della separazione dai genitori
Se si tratta proprio di un attacco di panico, l’evento scatenante può essere di varia natura, anche se elemento distintivo sembrerebbe essere quello che il soggetto ha di trovarsi in una situazione che non permette una via di fuga. Il sintomo fondamentale, in questi casi, è che il corpo reagisce come se si trovasse in una situazione di effettiva minaccia e si mobilita per contrastarla. L’attacco di panico può essere connesso nel bambino all’angoscia di separazione dai genitori. Il disturbo è strettamente connesso alle tematiche di crescita e per questo è più frequente nelle fasi dello sviluppo più delicate, come l’entrata a scuola, la separazione dai genitori per le vacanze estive, le prime uscite da solo, il ritorno a casa da solo e così via. Tale patologia può portare ad una vita fatta di restrizioni, in cui il bambino estende le sue paure a più sfaccettature della realtà, rinunciando, per esempio, a mangiare certi cibi per paura di soffocare, oppure evitando di andare in piscina per paura di affogare, oppure a stare in luoghi aperti per paura di perdersi.

Importante rivolgersi a un esperto
Non sempre è possibile rintracciare un evento traumatico alla base degli attacchi di panico. Se sono associati ad un fisico che reagisce in modo troppo “allarmistico” di fronte agli eventi stressanti della vita, si parla di una predisposizione innata a reagire in modo inadeguato. In altri casi, sembra che i bambini manifestino una sintomatologia ansiosa di varia intensità per identificazione. Se un bambino vede un genitore spaventato da un animale tenderà esso stesso a sviluppare la stessa paura. Talvolta sono purtroppo i genitori che, naturalmente senza volerlo, insegnano ai figli ad essere timorosi. Questi stati d’ansia sono di solito temporanei e migliorano rapidamente nei bambini, ma è necessario in ogni modo rivolgersi ad uno psicologo per evitare che la situazione peggiori. Sarà questo ad insegnare ai bambini a confrontarsi con le proprie paure e preoccupazioni, attraverso un approccio terapeutico consistente in una graduale esposizione controllata e ripetuta alle situazioni temute o problematiche. Cercherà di far prendere coscienza al bambino delle sue sensazioni ed emozioni nei momenti critici, così che questo non cerchi di cacciarle indietro reprimendole e facendole riemergere in modo mascherato sotto forma di attacchi di 

Dott.ssa Ilaria Ronchetti Psicologo http://www.guidagenitori.it




Tecniche di respirazione: 
ritrovare il benessere con un respiro

Ritrovare la motivazione, la concentrazione e la calma interiore può essere semplice come respirare. Un articolo con 3 tecniche pratiche di respirazione da applicare ogni giorno.

“Quando liberiamo il nostro respiro, liberiamo le nostre tensioni.” Gay Hendricks.
Respirare è allo stesso tempo il gesto più naturale e più potente che compiamo ogni giorno. Come un filo invisibile, il respiro lega indissolubilmente la nostra mente e il nostro corpo ed è in grado di influenzare profondamente l’una e l’altro.

Voglio approfittare di questo post per parlarti di 3 semplici tecniche di respirazione utili per ricaricarti di energia, per ritrovare la concentrazione e per eliminare lo stress:

1. Un respiro per caricarti
L’attività sportiva è uno dei migliori gesti per iniziare la tua giornata. Rimettere in moto il tuo corpo, dopo un sonno ristoratore, ti dona energia, motivazione e buon umore, ma soprattutto è il modo più semplice per prenderti cura della tua salute giorno dopo giorno.

Esistono decine di allenamenti con cui puoi iniziare la tua mattinata, ma pochi sono efficaci come il breathwalking.

Il breathwalking combina due dei nostri gesti più naturali: camminare e respirare. Sincronizzando opportunamente la nostra camminata e la nostra respirazione, possiamo ottenere numerosi benefici, tra cui:

un maggior livello di energia.
un miglior controllo del nostro stato d’animo.
un notevole incremento della chiarezza mentale.
Ecco un semplice esercizio di breathwalking:

Inizia a camminare finché non trovi un ritmo confortevole.
Fai quattro brevi inspirazioni consecutive, sincronizzandole con la tua camminata.
Fai quattro brevi espirazioni consecutive, sincronizzandole con la tua camminata.
Ripeti per non più di 5 minuti.
Puoi limitare il tuo allenamento mattutino a questo breve esercizio oppure puoi utilizzarlo in preparazione alla tua sessione di corsa. Ti accorgerai immediatamente degli effetti positivi: un leggero senso di euforia, maggior creatività e motivazione. Provare per credere, siamo tutti in grado di camminare e respirare.

2. Un respiro per concentrarti
La respirazione rappresenta anche una delle migliori tecniche di concentrazione e meditazione. Spostare il tuo focus sul movimento ritmico del respiro ti aiuta a svuotare la mente, permettendoti di raggiungere una maggiore concentrazione. Prova ad utilizzare la seguente tecnica di respirazione prima di una sessione di studio.

Per almeno 5 minuti, lascia che la tua mente si concentri solamente su ispirazione ed espirazione. Quando altri pensieri si affacciano, prova ad osservarli in modo distaccato, tornando lentamente a focalizzarti solo sul tuo respiro.

Questo semplice esercizio permette al tuo cervello di raggiungere uno stato di maggiore concentrazione, particolarmente utile per l’apprendimento e la memorizzazione.

3. Un respiro per rilassarti
Una corretta respirazione può influire profondamente sul nostro stato d’animo. Numerose tecniche di rilassamento si basano proprio su esercizi di respirazione.

A mio avviso, la tecnica di respirazione più efficace per eliminare lo stress è la tecnica nota come respirazione diaframmatica.

Ecco come applicare la tecnica della respirazione diaframmatica:



Siediti in una zona tranquilla (la posizione del loto non è necessaria).
Appoggia la mano destra sul tuo addome e la sinistra sul petto.
Inizia a respirare lentamente e con respiri profondi.
Controlla che la mano destra segua il movimento del tuo addome durante l’inspirazione e l’espirazione, mentre la mano sinistra rimane immobile così come il tuo petto.
Ti basteranno 5-10 minuti di respirazione diaframmatica per eliminare le tensioni e godere di una piacevole sensazione di benessere.

A differenza di quello che potrebbe sembrare, la respirazione diaframmatica non è una stramba tecnica di rilassamento orientale, ma al contrario è utile per rieducare il nostro corpo a respirare nel modo in cui è stato “progettato”: con il diaframma.

Prova a concentrarti sulla respirazione diaframmatica più volte durante il giorno: in metro, mentre stai lavorando, davanti alla TV. Trasforma la respirazione addominale in un gesto naturale: i benefici ti sorprenderanno.

dal sito : http://www.efficacemente.com/ 


Fobie e attacchi di panico, la risposta è nella notte
Intervista di Daniela Bassi a Selene Calloni Williams.

Coltivando l’idea di scrivere un articolo su un evento sempre più diffuso nella nostra
società, quale quello degli attacchi di panico, volendo un parere autorevole, ma nello stesso
tempo “fuori dal coro”, ho pensato a Selene Calloni Williams, allieva di quel grande maestro
dei nostri tempi che è stato lo psicoanalista e filosofo americano James Hillman,
recentemente scomparso.
Non potevo avere idea più fortunata, infatti, al telefono Selene mi annuncia che è di
prossima pubblicazione, per le edizioni Mediterranee di Roma, il suo nuovo libro “Riflesso di
James Hillman”, dedicato alla paura e a come trasmutarla in potere creativo.
Chiedo a Selene se è possibile avere un abstract del libro, lei gentilmente me lo invia, lo
leggo e rimango affascinata. Ho la sensazione che questo libro diverrà una sorta di bibbia
per tutti coloro che soffrono di attacchi di panico e di fobie, una lettura terapeutica, forse più
efficace di un farmaco e sicuramente priva di effetti collaterali: sono entusiasta.
Vorrei incontrare subito Selene, ma da cinque anni a questa parte, pare che lei abbia deciso
di vivere in Scozia, vicino alle Highlands e al mare del nord, dove, per altro, mi immagino che
un personaggio, come penso che lei sia, possa stare molto bene. Opto per un’intervista
telefonica.
Selene ha la voce un po’ roca, ma dal tono felice, è assai gentile. “Nella psicologia del
profondo,” mi spiega, “noi non crediamo nel corpo come realtà oggettiva, materiale, il corpo
è simbolo e, gli organi sono gli dei.” “Gli dei sono divenuti malattie, il dio Pan è l’esempio più
eclatante di ciò.” “Io credo che epidemie come le emozioni di panico e di tristezza che
dilagano sempre più intensamente nella nostra società, siano la conseguenza della cultura
in cui siamo stati educati.” “Noi oggi abbiamo bisogno di una terapia della cultura.” “La
nostra cultura si fa notare per l’ignoranza che ha della morte, affermava James Hillman.”
“Nel rapporto con la morte hanno origine le nostre angosce, allora io credo che, ancor prima
di prendere un farmaco, ci si dovrebbe chiedere: chi è Ade?”
“Il regno di Ade,” continua Selene dall’altra parte del telefono, “è la dimensione
dell’invisibilità, è l’universo dell’anima, degli avi, dei sogni, delle possibilità non ancora
esplorate.” “Ade non è unicamente la fine di qualcosa, ma è anche l’inizio, il principio.” “Il
regno di Ade è ciò verso cui la vita tende, in esso è contenuta la vocazione che ci ha voluto
alla vita, per cogliere il senso profondo della nostra missione nel mondo dobbiamo compiere
un viaggio iniziatico nella morte, un rito di more mistica, di morte e rinascita.” “La vera vita è
la seconda, la vera nascita è la seconda, la vera madre è la seconda.” “Finché non saprai
come morire e poi rinascere, rimarrai un viaggiatore infelice su questa terra oscura, scriveva
Goethe.” “Le angosce, che possono cogliere di sorpresa, sono il sintomo di un viaggio
interrotto verso i regni dell’invisibilità nei quali è segretamente custodito il nostro potere
creativo e la nostra possibilità di essere liberi e realizzati.”
“Possiamo dire, dunque,” chiedo io, “che nel nostro rapporto con la morte si giochi l’intero
spettro delle nostre possibilità umane?”
“Quando io sostengo che tutte le nostre paure, e di conseguenza le nostro auto limitazioni,
hanno origine nel rapporto con la morte,”risponde Selene, “generalmente le persone mi
dicono che, in verità, esse non hanno paura della morte.” “Allora io chiedo sempre: cosa
intendi per morte?.” “Ade è anche Zeus ed è anche Dioniso, affermava Hillman.” “Il regno di
Ade è l’universo del nostro potere di libertà e di realizzazione.” “La cultura finalizzata agli
imperi ci vuole governabili, misurabili e prevedibili; essa è la vera malata, la vera vittima
della paura che dobbiamo risanare.” “La morte non è qualcosa che ti accade al termine della
vita, la morte è simultanea alla vita, non c’è dubbio che dal primo istante in cui sei stata
concepita hai iniziato a vivere, ma da quello stesso istante, hai iniziato anche a morire.” “La
morte e la vita sono realtà inscindibili, come due amanti.” “La separazione della vita dalla
morte, la divisione degli amanti, la negazione dell’amore, è la grande follia che sta nel
nucleo patologico della cultura del potere.” “Se vuoi risanare l’angoscia devi riunificare gli
amanti divini, rimettere insieme ciò che – per ragioni di potere e controllo – è stato
separato.” “Il panico è, si dice, “eccitazione repressa”: questa affermazione deve essere
intesa nella sua autentica profondità.” “Nel mito, Dioniso è lo sposo di Arianna, la quale,
sorella del Minotauro, rappresenta l’anima selvaggia, l’eterno femmineo.” “La nostra anima
piange per via di una separazione interiore violenta a cui dobbiamo porre rimedio, altrimenti
a che mai possono servire farmaci e antidoti indotti dall’esterno?” “Ade è Dioniso, il nato
due volte, il padre di tutti gli psicopompi sciamani.” “Lo psicopompo è il traghettatore che ti
conduce nel viaggio iniziatico oltre la grande soglia e ti riporta indietro sano e salvo.” “La
nostra cultura ha bisogno della capacità di compiere il grande viaggio taumaturgico, pena il
rimanere bloccata nel tunnel della paura.”
Una pausa di silenzio. Butto là una domanda perché a me, forse vittima della cultura del
potere, il silenzio produce un senso di disagio: “Dottoressa, cosa consiglia a chi soffre di
attacchi di panico?”
“Di imparare a dormire e a sognare.”
“Scusi?”, chiedo, perché lei tace ancora.
“Entrare nel sogno è entrare nella casa di Ade, il sogno può avere una capacità altamente
terapeutica in caso di attacchi di panico e di fobie in genere.”
“Come si impara a dormire e a sognare?”
“Nello yoga sciamanico è conosciuto un sentiero di pratiche chiamato lo Yoga della
Comprensione dello Stato di Sogno, ritengo che sia una via molto valida contro la paura, è
tra le più antiche, le più economiche, le più semplici.”
“E come apprendere queste pratiche?”, chiedo, dandomi la risposta da sola l’attimo dopo.
"Be’ … leggeremo il libro, a questo punto non vediamo l’ora che sia in libreria".
- Riflesso di James Hilllman di Selene Calloni Williams, edizioni Mediterranee, sarà in
libreria a partire da luglio prossimo, è possibile prenotarlo fin da ora scrivendo a
info@nonterapia.ch.
E per adesso, subito mi sento di consigliare caldamente a quanti soffrono di fobie e attacchi
di panico e a tutti i miei lettori un altro libro di Selene Calloni Williams, un vero e proprio
best seller della crescita personale: Le Carte dei Nat e le costellazioni familiari . Questo testo
è in grado di dirci molto su come le fobie e gli attacchi di panico possano avere una matrice
transgenerazionale e può aiutarci a familiarizzare con il grande viaggio taumaturgico a
mezzo di quei simboli straordinari e poetici che sono i Nat birmani. Questo libro contiene
anche un documentario girato da Selene presso le tribù animiste del Myanmar che è
veramente illuminante per comprendere come la morte, così come la nostra cultura la
intende, semplicemente non esiste.
“Dottoressa,” chiedo ancora, “può dirmi qualcosa della matrice transgenerazionale degli
attacchi di panico?” “Innanzitutto può spiegare, in modo semplice, cosa si intende per
‘matrice transgenerazionale’?”
“Con il termine approccio transgenerazionale si intende fare riferimento all’influsso che i
nostri avi possono avere sulla nostra vita attuale e in modo speciale sui nostri disagi e
disturbi.” “L’approccio transgenerazionale sostiene che i traumi del passato posso generare
nei discendenti stati depressivi e angosce di vario genere, perché lo stress viene trasmesso
in modo del tutto sotterraneo all’interno delle linee di discendenza familiare.” “La memoria
del dolore , della paura, può presentarsi nella vita dei discendenti come sentimento di
dolore, angoscia o depressione, ripetizione di una perdita, difficoltà a gioire e a esprimersi
nella vita.”
“Insomma,” dico io, “i morti, come disse Sant’Agostino, non sono assenti, sono solo
invisibili?”
“Sì, concordo in pieno!” “Così capita che si scelga un partner per soddisfare il sogno d’amore
di una nonna che ha perso il fidanzato in guerra o per compensare l’umiliazione subita da
una zia rifiutata per le sue modeste condizioni economiche, capita che si scelga un corso di
studi o una professione per realizzare i sogni segreti di un antenato o antenata che non li ha
potuti manifestare, capita che si abbiano o non si abbiano figli in relazione alle morti per
malattia, guerra o difficili condizioni economiche del passato.” “Insomma si sente
inconsciamente il dovere di ristabilire la giustizia nella propria famiglia prima di potersi
permettere la realizzazione personale.”
“Dunque anche gli attacchi di panico possono essere visti come echi di una memoria
transgenerazionale?”, chiedo.
“Sì, certamente.” “A seguito di privazioni, torti, gravi perdite, morti precoci e altre ferite e
sofferenze del passato, i discendenti possono percepire la presenza di un vuoto da colmare,
di un’offesa o un’ingiustizia da riparare, di un equilibrio da restaurare.” “Le conseguenze dei
tentativi di ri-equilibrio nei discendenti possono presentarsi come problemi di salute fisica
e mentale (boicotaggio della vita) o problemi di inserimento nella società e nel mondo del
lavoro (boicotaggio della propria realizzazione intellettuale e creativa), come fallimenti
economici (boicotaggio del benessere materiale) o come difficoltà di formare una famiglia e
di generare dei figli (boicotaggio della creatività fisica e della felicità affettiva).” “Gli
attacchi di panico, le angosce e le fobie in genere, fanno pensare a traumi antichi non
risolti.” “L’analisi trangenerazionale può aiutare a deprogrammare le paure registrate nella
memoria inconscia.”
“Chi volesse affrontare i propri disagi in una chiave transgenerazionale a chi può
rivolgersi?” “Lei offre consulenza anche in Italia?”
“Io ho fondato nel 2003 in Ticino, nella Svizzera Italiana, l’associazione di nonterapia che si
occupa dello studio e della diffusione di paradigmi non terapeutici, l’associazione fa molte
attività in Italia, in varie città, alle quali io sono spesso presente personalmente, per
conoscere tutte le attività e per un appuntamento consiglio di visitare il sito
dell’associazione www.nonterapia.ch.”
“Da ultimo, allora, le chiedo cosa intende per paradigma non terapeutico.”
“L’approccio nonterapeutio vuole fornire alternative non-diagnostiche e non-terapeutiche
al modo di confrontarsi con diversità e disagi, vuole favorire una percezione naturale o
soggettiva, non mediata da criteri sociali o oggettivi, di salute, normalità, benessere,
libertà.” “Se propagandato ad oltranza, il modello terapeutico rischia di essere la sola
soluzione a disagi e diversità.” “Il modello noterapeutico non si oppone ai modelli
terapeutici, ma li arricchisce.” “La via nonterapeutica vuole portarci a fare esperienza di
quanto molti pensatori hanno affermato: i nostri, mali, i nostri disagi, le nostre paure, sono,
in verità, il nostro più grande patrimonio.” “Su questa via, il panico è un ruggito, una forza,
una possibilità che dobbiamo semplicemente imparare a gestire deprogrammando la psiche
da condizionamenti culturali e transgenerazionali.”

Daniela Bassi.

Selene Calloni Williams è autrice di numerosi libri tra i quali il best seller della crescita
personale Le Carte dei Nat e le Costellazioni Familiari, tra gli altri titoli ricordiamo
Iniziazione allo Yoga Sciamanico, Anche gli Atleti Meditano, Seppur di Corsa, tutti editi da
Mediterranee, Roma, è anche autrice di testi universitari sul tema della psicologia
transgenerazionale, è stata allieva del celebre psicanalista James Hillman, con il quale ha
partecipato al volume “Corpo Spirituale, Terra Celeste”. Ha alle spalle oltre vent’anni di
conduzione di seminari e workshop. Esperta di sciamanismo, yoga e meditazione, ha
trascorso numerosi anni in Oriente negli eremi della foresta dei monaci buddhisti theravada.
È laureata in psicologia e ha ottenuto un master in sreen writing presso la Edinburgh Napier
University, è autrice di documentari e trasmissioni televisive, ha fondato l’Associazione di
Nonterapia (www.nonterapia.ch) e Voyagesillumination (www.voyagesillumination.com).
Da cinque anni vive a Edimburgo, in Scozia.


allevi3

Giovanni Allevi: 

“Sono un Classico Ribelle” 

di Tommaso Revera (intervista per la rivista FarmaciaFutura Brescia) 

Giovanni Allevi è uno dei maggiori 

compositori puri ed incontaminati

dell’attuale panorama internazionale.

Le sue composizioni tratteggiano i

canoni di una nuova musica classica contemporanea

attraverso un linguaggio colto

ed emozionale, che prende le distanze

dall'esperienza dodecafonica e minimalista,

per affermare una nuova intensità ritmica

e melodica europea.

La carriera artistica di Giovanni Allevi è costellata

da successi di pubblico e discografici

(con oltre 700.000 copie vendute dal 2005 ad

oggi). Dopo i due dischi di pianoforte solo

“No concept” (2005 - disco d’oro e disco di

platino), con cui Giovanni Allevi si è fatto conoscere

al grande pubblico, e “Joy” (2006),

tre volte disco di platino, Allevi ha pubblicato

l’album registrato con orchestra sinfonica

“Evolution” (2008 - disco d’oro e disco di

platino). A completare queste pubblicazioni

il disco registrato dal vivo durante il tour 2007

“Allevilive”, che celebra i dieci anni di carriera

discografica ed il dvd live “JOY TO UR 2007”,

registrato all’Arena Sferisterio di Macerata.

Segue il CD/DVD del grande concerto all’Arena

di Verona del 1 settembre 2009 “Allevi &

All Stars Orchestra - Arena di Verona”. Già

disco d’oro, infine, anche “ALIEN ”, ultimo

album di inediti di pianoforte solo uscito il

28 settembre 2010 per Bizart/Sony Music. E,

proprio sulla scia di quest’album, è tuttora in

fase di svolgimento l’ALIEN WORLD TO UR,

iniziato in California il 17 ottobre 2010, proseguito

in Giappone ed in Italia, arriverà presto

anche in Svizzera, Spagna, Germania, Inghilterra

e Francia. Allevi ha, inoltre, pubblicato

due libri bestseller, che hanno venduto oltre

100 mila copie: “LA MUSI CA IN TESTA ” ed

“IN VIA GGIO CON LA STRE GA”. Appena

pubblicato il suo nuovo libro "Classico

Ribelle" (tutti editi da Rizzoli).

 

Dallo scorso anno è alle prese

con l’Alien Tour, nome tratto dal

suo sesto album di studio. Se non

sbaglio, ha da poco ufficializzato

anche le date europee (in ottobre

si parte l'8 da Lugano, il 12

Ginevra, il 14 Zurigo, il 18 Berlino,

il 21 Barcellona, il 25 Madrid,

il 27 Londra, per concludersi il

6 novembre a Parigi - per info:

www.giovanniallevi.com). Come

procede questa lunga tournèe?

“L’Alien Tour è per me un’esperienza sconvolgente.

Ogni concerto è l’occasione per entrare

magicamente in contatto con il cuore

della gente, senza filtri, lontano dalle apparenze,

dalle omologazioni e dalle maschere

che siamo costretti ad indossare. Sto ricevendo

un incredibile affetto da parte dei fan e

vorrei avere mille vite per ricambiarlo”.

Ama definirsi un compositore

di musica classica contemporanea,

che impiega un linguaggio

nuovo e diverso da quelli sino

ad ora sviluppati, colto ed emozionale,

distante dall’esperienza

dodecafonica e minimalista.

L’innovazione, che ha portato in

chiave musicale, le è costata più

di qualche critica dalla vecchia

scuola: anche il mondo della

musica classica rappresenta una

casta che rivendica la propria

concezione dell’arte... Ne parla

anche nel suo ultimo libro “Classico

Ribelle”, in uscita in questi

giorni per Rizzoli. Non è così?

“Non mi interessa se il mio sia un linguaggio

nuovo, voglio solo che sia fortemente

ancorato al presente! Attraverso le forme

rigorosamente classiche inglobo contenuti

presi dalla realtà attorno a me, realizzando

un genere che può definirsi “Musica Classica

Contemporanea”. E’ stato inevitabile lo

scontro con il mondo accademico, che ha

avuto paura di vedersi sottratto un “primato”

culturale. Ma non si può impedire ad un

artista, chiunque sia, di dare libero sfogo alla

propria creatività. Nel mio ultimo libro “Classico

Ribelle” ho sentito l’esigenza di spiegare

in maniera puntuale come intendo la musica

“contemporanea”, per dare un segnale

a tutti i creativi in ogni campo, a difendersi

dalle insidiose “sicurezze” del passato”.

Quanto ha contribuito alla sua

crescita artistica Jovanotti, che

per primo accolse la sua produzione

pianistica nell’album

“13 Dita”?

“Devo molto a Jovanotti, il mio primo

produttore. A quei tempi aveva appena

fondato la sua etichetta Soleluna con un

particolare interesse da talent scout in

progetti freschi ed inediti. Ma oggi spesso

sbagliamo a parlare di musica, spingendoci

a pensare ad essa in termini esclusivamente

discografici e di “vendite”. In realtà,

quindi, se devo ringraziare qualcuno, direi

che al primo posto c’è la Musica, che viene

a trovarmi e che guida inesorabilmente la

mia vita, e poi l’affetto della gente, che mi

permette di esprimermi in totale libertà”.

Dal successo di “Come sei veramente”,

divenuta colonna sonora

di un celebre spot tv diretto

da Spike Lee, al disco di platino

dell’album “Joy”, dalla Carnegie

Hall di New York al Concerto di

Natale, tenuto in mondovisione

per il Senato della Repubblica

italiana nel 2008... I riconoscimenti

certo non le mancano.

Quanto si sente appagato dalla

propria carriera di musicista?

Immagino che aver ridato vita

al pianoforte sia la cosa più gratificante,

non è così?

“Posso essere sincero? Della mia “carriera”

di musicista mi importa poco o niente. Non

potrei fare nient’altro che comporre e suonare

musica ed il massimo della soddisfazione

è ricevere le e-mail di ragazzi, che,

sullo spunto di quello che faccio, trovano il

coraggio di esprimere la propria arte, attraverso

un quadro, un racconto, una poesia,

una composizione musicale. Credo di aver

scatenato una ventata di creatività, perché

nei miei scritti e nelle interviste affermo la

necessità di esprimere il nostro tempo con

tutta la nostra forza e passione, per non rimanere

immobili ed annichiliti dal ricordo

e dalla presunta inarrivabile magnificenza

del passato. A me è costato molto, vista la

reazione degli ambienti più conservatori:

ma ne è valsa la pena, considerati l’affetto

e la riconoscenza dei più giovani….e dei

giovani dentro!”.

Per arrivare dove è arrivato occorre

fare grandi sacrifici. Non

tutti sanno, però, che lei ha dovuto

superare anche un’altra

difficoltà: gli attacchi di panico.

Che sensazioni ha provato

quando ha iniziato a soffrire di

questo disturbo?

“I sacrifici ci sono stati, ma non me li ricordo.

Non capisco cosa sia accaduto e perché. So

solo che da sempre una gioia profonda guida

i miei passi, l’entusiasmo, l’amore per ciò

che faccio senza pensare mai al risultato. Il

panico? Non lo considero un disturbo, ma

una forza atavica, che ogni tanto mi travolge,

essendo la mia una vita senza riparo”.

Come ha affrontato questo problema,

che ormai possiamo definire

il male del 21° secolo?

“Non considerandolo un problema, ma un

amico. Io credo che il male del 21° secolo

sia, invece, l’omologazione. Senza che ce

ne accorgiamo il mondo esterno mortifica

le nostre inclinazioni più profonde,

rendendoci piatti, prevedibili, ragionevoli

ed impauriti. La salvezza sta nel riscoprirsi

alieni, nel recuperare lo stupore e la follia

che è nascosti dentro di noi”.

L’ha definito “un incontro con

un vuoto paralizzante, ma

un’esperienza del nostro tutto,

della nostra dirompente energia

creativa, che è dentro ognuno

di noi”. Direi una chiave di

lettura molto interessante...

“Così è stato per me. Il panico mi ha raggiunto

in un momento bellissimo ed allora

ho pensato che qualcosa non tornasse. Poi

ho capito: quando diventi un’anima vulnerabile,

completamente aperta al mondo,

è quasi inevitabile entrare in contatto con

il panico, l’ansia e l’eros, forze primordiali

che percorrono l’umanità come un fiume

sotterraneo, da sempre”.

Lo scorso luglio l’abbiamo apprezzata

durante la tappa di

Brescia: per nostra fortuna la

nostra città è spesso teatro delle

sue esibizioni. Che idea si è

fatto di Brescia e dei bresciani?

“Che bello suonare a Brescia! I bresciani,

generosi per natura, mi hanno “adottato”

e di questo vado molto fiero! Ogni volta

ricevo uno smisurato affetto, che spero

davvero di meritare. A Brescia sento una

particolare propensione della gente alla

musica, all’arte, a tutto ciò che sia una manifestazione

autentica del presente”.


allevi

Non mi interessa se il mio sia un

linguaggio nuovo,voglio solo che sia

 fortemente

ancorato al presente!




allevi2

Da sempre una gioia profonda guida i 

miei

passi, l’entusiasmo, l’amore per ciò che

faccio senza pensare mai al risultato